Per la retrospettiva su Buñuel sono proiettati i seguenti film:
La via lattea (26/7) è un film in co-produzione italo-francese del ’68, scritto insieme allo sceneggiatore Jean-Claude Carrière e girato con una tecnica surrealista ed una narrativa non lineare. Attraverso il pellegrinaggio del giovane e ateo Jean (Laurent Terzieff), e dell’anziano e credente Pierre (Paul Frankeur), partiti da Fontainebleau, in Francia, e diretti verso il santuario di Santiago di Compostela, in Spagna, il maestro racconta la storia delle eresie (in particolare priscillianesimo e giansenismo) e delle contraddizioni della religione cattolica, segni di una dialettica tra fede e ideologia, potere e libertà.
Quell’oscuro oggetto del desiderio (27/7), è una pellicola francese del ’77, sceneggiata sempre con Carrière e basata liberamente sul romanzo francese La donna e il burattino ((La femme et le pantin,1898) dello scrittore e poeta Pierre Louÿs. Ambientato in Spagna e in Francia, sullo sfondo di una insurrezione terroristica, racconta la storia di Mathieu (Fernando Rey), un benestante francese di mezza età innamorato di Conchita (interpretata da Carole Bouquet e Ángela Molina, che si alternano senza un criterio preciso nelle varie scene, conferendole una schizofrenia che accresce la complessità del personaggio), una giovane, povera ma bella, ballerina di flamenco di Siviglia, che ripetutamente frustra i desideri romantici ed erotici di Mathieu.
Bella di giorno, tratto da un romanzo di Joseph Kessel del 1929, girato nel ’67 e sceneggiato in coppia con Carrière (28/7), è un film ironico, elegante e quasi rasserenante, nella sua continua oscillazione tra sogno e realtà, trasgressione e soddisfazione. All’uscita nelle sale fece scandalo ma vinse il Leone d’Oro alla 32ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel 1967 per il suo alto valore artistico. Séverine (Catherine Deneuve) è la giovane moglie di un medico e soffre di seri problemi di relazione che la portano a vivere una vita affettiva distorta. Fredda e distaccata col marito, cerca rifugio tutti i pomeriggi in una casa d’appuntamenti in una splendida Parigi degli anni sessanta, dove attraverso la prostituzione tenta una sorta di psicanalisi che la porti a uscire dalle sue fobie e dalla sua frigidità. Un cliente s’innamorerà di lei, fino a pretendere che lasci il marito. Dall’edizione italiana, la censura tolse tre scene, tra cui il flashback su Séverine bambina che rifiuta di fare la Prima Comunione. Presenti nel cast anche: Jean Sorel, Michel Piccoli, Geneviève Page, Françoise Fabian, Macha Méril, Pierre Clementi e Francisco Rabal.
Il fascino discreto della borghesia (29/7) è la 30esima pellicola di Buñuel, girata nel ’72. Si tratta di una arguta e sardonica critica al mondo borghese, vero e proprio coacervo intriso di cinismo e mediocrità. I Thévenot e i Sénéchal tentano di organizzare una cena che, per vari motivi, non avrà mai luogo. Il film non vuole essere una denuncia quanto piuttosto un’ironica e surreale presa in giro di questa classe sociale. L’ambasciatore di Miranda e i suoi amici sono dei gentlemen che nascondono, dietro al loro culto per le buone maniere, segreti al limite del grottesco: relazioni d’amore clandestine, traffici di stupefacenti, ecc. Il risultato è quello di dipingere un mondo surreale decifrato da un linguaggio proprio della borghesia, fatto di gentile ipocrisia. Tutto ciò che accade è spesso illogico e irrazionale, e contiene diverse contraddizioni, senza fornire alcuna spiegazione: non di meno viene naturalmente accettato dai personaggi. Ugo Casiraghi su l’Unità (18 aprile 1973) descrive la borghesia come appare nel film “[…] incapace di pensiero, nemmeno sfiorata dal dubbio, improduttiva e parassitaria, assisa sulle proprie voglie animalesche e banali come su un trono di cartapesta, con tutti i suoi pilastri protettivi (il clero, l’esercito, la polizia), conserva ormai se stessa più sulla base dell’inazione che dell’azione. Il suo potere è indissolubilmente legato alla sua impotenza”.
Per la rassegna di film italiani vengono proposti i seguenti film:
Onde, di Francesco Fei – un passato di regista di alcuni tra i più interessanti videoclip italiani (per Carmen Consoli, Battiato, Bluvertigo, Ligabue, Silvestri, Verdena, Negrita, Moltheni e molti altri) – punta su una “storia d’amore tra due anime sole e marginali, da vero indipendente” (Emiliano Coraretti, XL); un film che “punta il dito contro la dittatura dell’immagine, che falsa il rapporto con il nostro aspetto, spingendoci fino al desiderio di non essere visti” (Roberta Bottari, Il Messaggero). Francesca ha una voglia di color viola sul volto che la rende timida e insicura. Luca è un musicista cieco anche lui diffidente. Un giorno si incontrano all’acquario di Genova: per lei, senza più l’incubo dello sguardo altrui, è l’occasione di “abbandonarsi finalmente senza remore a un rapporto via via sempre più stretto”(Gian Luigi Rondi, Il Tempo). Fra i due nascerà un amore controverso e problematico: soprattutto per Francesca, che continua a “non vedersi” come vorrebbe. Un ritratto intenso di due esistenze nascoste, dove tutte le emozioni e le manifestazioni sono e la bellezza del silenzio è l’unica arma per difendersi dal caos del mondo esterno.C’è chi non vede realmente e chi non vuole vedersi. Le parole divengono superflue e la colonna sonora fa da sottofondo alle immagini complesse.
La seconda notte di nozze, di Pupi Avati, è una storia ambientata nel secondo dopoguerra. 1947: rimasta vedova e in difficoltà economiche, Liliana (Katia Ricciarelli, qui al suo esordio come attrice) è costretta ad abbandonare Bologna insieme al figlio Nino (Neri Marcorè), un furfante matricolato. In Puglia c’è lo zio mai conosciuto che possiede qualche avere ed è stato a lungo ricoverato in manicomio, e Nino convince la madre a traslocare da lui. Accolta nella masseria del fragile Giordano (Antonio Albanese), cognato un tempo innamorato di lei, finirà per risvegliare antiche passioni e odi sopiti. Le vecchie zie di Giordano, Suntina (Angela Luce) e Eugenia (Marisa Merlini, qui al suo ultimo film), ostili da tempo alla famiglia di Liliana, non le renderanno la vita facile.
Mater natura, di Massimo Andrei, con Valerio Foglia Manzillo e Vladimir Luxuria. è stato presentato in concorso alla XX Settimana internazionale della critica di Venezia del 2005. È la storia del trans Desiderio – all’anagrafe Salvatore – alle prese con il padre che non lo accetta per la sua vita di strada, l’amore per Andrea (che lavora in un autolavaggio) e i suoi amici “diversi” (trans, gay e prostitute), folli e colorati, drammaticamente emarginati dalla società, dalla politica e dalla cultura. L’esordio di Andrei è un’esplosione pop di colori, musica, luci: in poche parole un’esplosione di vitalità. La rappresentazione di un gruppo di “diversi”, di drammaticamente emarginati dalla società, dalla politica, dalla cultura, avviene attraverso una fusione di elementi estetico-artistici, un crossover di stili che trova un punto di equilibrio, che è anche un punto di confine, sul territorio dei corpi. Quei corpi che si amano, che si ribellano, che lottano, o non sanno prendere una decisione perché stretti in una morsa fatta di sogni e realtà, presi in mezzo tra il fuoco del Vesuvio e l’acqua del mare, tra maschile e femminile. Andrei costruisce una storia allo stesso tempo armonica e conflittuale, in cui la vicenda individuale e quelle collettive finiscono per incontrarsi e risolversi in quello che è il corpo, definito prodotto geografico tipico di un agrifuturismo in cui è possibile riscoprire un rapporto più intimo con la natura e con se stessi.
Il regista di matrimoni,di Marco Bellocchio – quattro candidature ai David di Donatello 2007 e sei candidature ai Nastri d’argento 2007, vincitore dei premi per il miglior soggetto e miglior montaggio – racconta della crisi del regista Franco Elica (Sergio Castellitto), che mentre prepara su commissione l’ennesima riduzione dei Promessi Sposi è costretto ad una fuga verso sud a causa di uno scandalo della produzione: incontrerà Enzo, umile regista di matrimoni, e Ferdinando Gravina, un principe decaduto che gli propone di “cinematografare” le nozze della figlia. Il protagonista invece se ne innamora, e sostituendosi alla provvidenza filmerà per lei tre epiloghi possibili: il connubio, il nubilato e la fuga. Tre epiloghi possibili così come tre sono i registi dei matrimoni che “non s’hanno da fare”: a Bellocchio, infatti , si affianca Franco Elica, alter ego del regista piacentino, in cerca della sua autentica identità, che si contrappone all’ossessivo Orazio Smamma, che ne cerca al contrario una apparente. Smamma è il “fu Pascal” pirandelliano che si finge morto per vincere un “Davide di Michelangelo” ed essere riconosciuto come uomo e come autore. Il personaggio eredita i “pugni in tasca” (film manifesto, per certi versi anticipatore della contestazione del ‘68) di Lou Castel: a rielaborare la sua rabbia è invece Elica, che prosegue idealmente la formazione spirituale e laica di Ernesto Picciafuoco ne L’ora di religione. È un film lirico che privilegia la dimensione “sovversiva” della settima arte, ancora capace di riferire la bellezza. Al centro della scena c’è ancora una volta un soggetto femminile, di cui filma la progressione umana, l’enfasi emotiva e la scelta finale di un sentimento (libero per Elica, costretto per lo sposo) che esiste a prescindere da tutto: famiglia, società e religione, e si trasforma in qualcosa di reale, teso verso un amore probabilmente edonistico (non riproduttivo), ma maledettamente seducente per l’immaginario collettivo.
In seconda serata, per la sezione eventi speciali vengono presentati i seguenti film:
Il documentario Le mani raccontano, di Luigi Faccini, è un viaggio sulla fatica di undici donne, tra i 75 e i 100 anni, vissute nel ‘900. Lavoratrici nelle fabbriche del Levante ligure, con alle spalle storie importanti, difficili, calate nel contesto delle lotte partigiane. Sullo sfondo c’è il fascismo, la guerra, la Resistenza e la Liberazione, “visti con gli occhi e modellati dalle mani delle donne”. L’opera, prodotta da Marina Piperno e realizzata con il contributo del coordinamento donne del Sindacato Pensionati Italiani (SPI) aderenti della Cgil di La Spezia, è stata prodotta appositamente per il Centenario, girata nell’autunno del 2005 e presentata al pubblico durante il Congresso SPI di La Spezia.
Ritratto di un collezionista (27/7) di Giovanni Fago, è un tributo all’ingegnere e mecenate Amedeo Lia, che nel ’96 decise di donare la sua splendida collezione d’arte alla città di La Spezia, che ha restaurato un convento del ‘600 facendone una sede museale tra le più moderne d’Europa.
In un altro paese, (28/7) è un documentario del 2005 tratto dal libro di Alexander Stille “Excellent Cadavers: The Mafia And The Death Of The First Italian Republic”, che ricostruisce la storia della mafia, dalla Prima Repubblica ai giorni nostri. Agli inizi del 1990 decise di “indagare” sui delitti storici della mafia e dei suoi intrecci con la politica, immergendosi nella Palermo di Letizia Battaglia, fotografa di punta nella documentazione di questi crimini. che assurgerà a coscienza visiva dello scrittore statunitense, il quale pubblicherà il testo nel 1995. Dieci anni dopo è riadattato da Vania Del Borgo e Marco Turco, che ne firma anche la regia. La forza del documentario sta proprio nella capacità di ricostruire – a monte di un’attenta analisi delle più disparate fonti pubbliche – l’altalenanza tra il potere mafioso e quello politico, storicizzandola. Ma come reagisce il Paese natale della più grande organizzazione malavitosa del mondo? Questo è il punto di vista attraverso il quale Stille ripercorre gli eventi sul testo e Turco li mette in scena, aggirando così qualsiasi rischio di strumentalizzazione: chiedersi come e quando il Paese ha reagito. In Un Altro Paese è, dunque, un film con “documenti alla mano”; accattivante per tematiche e tempi di narrazione, nonché meritorio per la tecnica – considerato il copioso rimpasto tra materiale audiovisivo, originale e d’archivio e il necessario utilizzo di numerose, terribili fotografie – e l’indiscutibile coraggio dimostrato. A testimonianza di ciò, il coinvolgimento di ben sei Paesi, tra produttori e finanziatori, che hanno abbracciato e finanziato il progetto. Un film che risveglia il senso dell’onore (quello vero), della dignità e della giustizia dei tempi in cui l’Italia intraprese la strada per sconfiggere definitivamente la mafia, e lo fa con la naturalezza del risveglio da un sogno, i cui ricordi sono offuscati dalle chiacchiere tanto care al nostro Bel Paese.
Ne L’ inferno di Pablo (29/7) del giovane Enrico Maisto, la Costiera Amalfitana fa da sfondo alle inquietudini di un 15enne, che insorgono dopo un breve incontro con una donna misteriosa dal volto di bambina.
A tarda sera l’ultima proiezione era riservata ai “corti” in concorso:
Precario per aria, di Paolo Ferri e Davide Perruccio: una piccola, breve, ma intensa storiella tutta attuale che parla di un ragazzo alla ricerca di un posto di lavoro…
Compito in classe (27/7), di Daniele Cascella, premio della stampa nel 2005 – nel 2008 riceverà anche il Premio AIFF (Acquedolci Independent Film Festival) 2008 come miglior “corto” – è la storia di una normale verifica prevista dai programmi scolastici in una scuola elementare, La traccia è suggerita dagli stessi bambini: «una persona importante nella vostra vita: vostro padre». Ma uno dei compiti svolti rivela un dramma familiare, un orrore nascosto…
La pianta (28/7) – dei salernitani Antonello Novellino e Luca Granato ha per protagonista Marco, giovane introverso e taciturno, che non sopporta neanche i suoi coinquilini: ma un giorno qualcosa arriva a turbare la sua solitudine…
Vie sur mars (29/7), di Carlo Avventi, è la storia di un bancario che in una cabina accanto alla sua, in un call shop, sente la voce di una donna misteriosa…